Negli anni la sinistra, abbandonando progressivamente i propri punti di riferimento nella teoria economica, è diventata la paladina del “rigore”, fino ad approvare il pareggio di bilancio in Costituzione. Così ha concesso a Berlusconi ampio margine per conquistare un terreno politico lasciato incustodito. Il paradosso di un Cavaliere “keynesiano”, avversario dell’austerità imposta dalla Merkel e critico dell’euro, altro non è che il risultato di una sinistra che ha fatto proprio il “punto di vista del Tesoro“.
di Luigi Cavallaro*
Gramsci scrisse una volta che dire la verità è una necessità politica. Ma dire la verità presuppone una scelta partigiana: la verità, infatti, è sempre situata da una parte.
La parte in cui ci vorremmo situare non è una generica «sinistra». Da tempo ormai questa parola non designa null’altro che un vago e indistinto antagonismo rispetto a Silvio Berlusconi, ossia rispetto a colui che, negli ultimi vent’anni, ha incarnato il «grande Altro» della revanche capitalistica da cui è stato pervaso il nostro Paese. «Di sinistra» sono così diventati Indro Montanelli e Eugenio Scalfari, Antonio Di Pietro e Francesco Saverio Borrelli, Carlo Azeglio Ciampi e Romano Prodi (e Giuliano Amato), e perfino organi dello stato come la Corte costituzionale o interi apparati statali, come la magistratura.
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