Guidava sul George Washington Bridge a NY, e dalla radio veniva una canzone: Salvamm ‘o munno. Colpo di fulmine, quello che non cancelli, che non se ne va: “La mia vita è cambiata”. Jonathan Demme ha incontrato la musica di Enzo Avitabile, poi Jonathan Demme incontra Enzo Avitabile e ci fa un film: Enzo Avitabile Music Life.
Un artista dietro la macchina da presa, un altro davanti e, diremmo, più grande: Demme scompare per lasciare l’intera scena al suo soggetto d’amore, l’empatia scorre, la world music di Avitabile assolda iracheni, pachistani, sardi, il maestro Bruno Canino e – una volta tanto è vero – parla al cuore. Il suo caleidoscopico, polifonico sound contamina, e altro che roots: “La musica non ha radici”, dice Enzo. E il suo regista elogia il titolo, fuori concorso a Venezia 69: “Perfetto per restituire il senso di una vita tutta spesa nella musica”. Comunione di amorosi sensi, “è il risultato di una settimana incredibile trascorsa con questo eccezionale uomo di musica, un viaggio attraverso Napoli e uno speciale ritorno al suo magico luogo di nascita, Marianella”.
Perché “senza Marianella non ci sarebbe Avitabile”, e il musicista concorda: “Sono voluto tornarci, perché da lì tutto è partito, da uno scantinato trasformato in studio”. A Enzo brillano gli occhi, mentre le jam session parlano di mondi così lontani e così vicini: fusion, appunto, fuori dalle regole di mercato. Perché ci sia voluto Demme a farci “conoscere” questo napoletano doc è problema squisitamente italiano: “Non ci siamo mai affidati alla promozione, agli uffici stampa – dice Avitabile – ma la nostra musica la portiamo in giro per il mondo: non c’è un problema di visibilità”.
Anche perché, potenza di questo sassofonista, cantante, compositore e musicista tout court, è la capacità di farsi autenticamente glocal, utilizzare il dialetto per parlare al e del mondo: “Non serve solo a parlare di sole, ma di bambini-soldato, guerra dei diamanti e Baghdad. Se la musica, lingua universale, è stata invero la possibilità di tornare alle mie origini, il dialetto, simbolo di appartenenza alla mia terra, mi ha permesso di andare incontro al mondo”. E allora musica, tra uomo (Enzo) e città (Napoli), perché è un documentario “sugli incontri, sulla possibilità degli assemblaggi”.
Documentario grezzo, iperpartecipato, aperto alle intrusioni della vita, degli scugnizzi di Marianella e di un passato doloroso, perché al quadretto familiare di Enzo manca una tessera, la moglie scomparsa. Ma per quel dialogo interrotto, oggi ci sono i duetti con Eliades Ochoa e Luigi Lai, le alchimie con Hossein Alizadeh, Daby Touré, Trilok Gurtu, Gerardo Nunez. Tutti a Napoli, capitale della world music. Almeno per una settimana, quella splendida di Enzo Avitabile Music Life. Un unico rimpianto: “L’Italia è un paese disattento”, dice Avitabile. Dimenticheremo anche questo?