Un bimbo salvato dagli effetti devastanti di una malattia renale genetica che lo avrebbe costretto a un doppio trapianto rene-fegato, mortale nella metà dei casi. E una madre tornata a vivere dopo 40 mesi trascorsi in ospedale, accanto al suo piccolo malato.
La nefrologia italiana festeggia la Giornata mondiale del rene, che si celebra l’8 marzo insieme alla Festa della donna, annunciando il “successo formidabile” di una terapia pionieristica eseguita per la prima volta nel nostro Paese e fra le prime al mondo. A raccontare la storia a lieto fine del baby-paziente, che oggi ha 5 anni ma ha iniziato la sua odissea a 6 mesi, è Rosanna Coppo, presidente della Società italiana di nefrologia (Sin). E’ proprio nel Reparto di nefrologia, dialisi e trapianto da lei diretto, all’ospedale Regina Margherita di Torino, che il bambino è stato curato con un farmaco ‘intelligente’ sperimentale, abbinato a un singolo trapianto di rene. Ad agosto l’operazione, oggi il responso finale: “La funzionalità renale è tornata perfetta”, ed “è stata aperta una nuova via che permetterà di salvare molte vite”. “All’età di 6 mesi il bimbo viene ricoverato con pallore e debolezza – ricorda Coppo oggi a Milano, durante un incontro sulle iniziative in programma per la Giornata del rene promossa da Sin e Fir (Fondazione italiana rene) – Gli esami rilevano anemia grave con emolisi, ossia rottura dei globuli rossi in circolo, e insufficienza renale acuta”. Immediatamente la madre, 30 anni, altri 2 figli più grandi, riconosce con terrore un quadro clinico ‘fotocopia’ di quello della sorella, costretta alladialisi a soli 29 anni per una malattia rara: “Una forma atipica di sindrome emolitico-uremica. Nella forma più tipica – precisa l’esperta – questa patologia non è altro che l’infezione responsabile dell’epidemia scoppiata l’estate scorsa in Europa, dovuta a una contaminazione alimentare da batterio Escherichia Coli”. Nella ‘versione’ meno diffusa, invece, la malattia non è infettiva bensì genetica, “causata dalla mancanza di una proteina prodotta dal fegato – spiega Coppo – che normalmente ha il compito di inibire un fattore chiave del sistema immunitario, il cosiddetto complemento. Lo stato di perenne attivazione del complemento dissemina i vasi dell’organismo, e soprattutto dei reni, di microtrombi” che finiscono per uccidere l’organo-filtro del nostro corpo. Il bimbo, come sua zia, era condannato alla dialisi. Il piccolo viene dunque messo indialisi all’ospedale Regina Margherita di Torino. “Per un anno fa dialisi peritoneale a domicilio – continua la presidente Sin – ma un anno dopo siamo stati costretti a passare all’emodialisi in ospedale: per la madre e il suo bambino significava recarsi 5 giorni a settimana in un centro fuori città, per sedute lunghe 3-4 ore”.
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