C’è stato un periodo, non più indietro di un paio d’anni fa, in cui spuntavano cantautrici bravissime da ogni angolo. Il problema era sempre lo stesso: capire (e descrivere) cosa le differenziava l’una dall’altra, perché erano tutte buone canzoni per chitarra acustica, tutti bei dischi, punto, e a volte sarebbe bastata una riga. Correva l’anno, appunto, 2008 quando poi spuntò dal nulla Emmy The Great, e mi si impose su tutti gli altri ascolti, in maniera quasi naïf, devo dire, e forse un po’ insensata. Perché, appunto, non ci sono dei motivi per cui questa ragazza sia più brava, o più valida delle altre sue colleghe. La verità è che è una grande cantastorie e una grande compositrice: cosa che prova una volta di più con Virtue, il suo secondo lavoro, che per certi versi mi pare pure migliore del primo.
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