Domenica 17 aprile, Sala Santa Cecilia, ore 21.00
Per informazioni:
Auditorium Parco della Musica
tel. 06-80241281
Scusate se faccio pubblicità, ma ne vale la pena.
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Domenica 17 aprile, Sala Santa Cecilia, ore 21.00
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L’esordio dei Byrds ha tanta importanza storica e formale quanta pochezza artistica e sostanziale. L’importanza sta nel segnare il passaggio, tramite la chitarra elettrica (tramite McGuinn) dall’epoca classica della canzone america (folk, country) all’epoca del rock. L’operazione riesce tramite un “post-rock n’ roll” smorzato dai vocal group. In realtà, l’esordio dei Byrds va considerato un singolo e non un album. Basta “Mr. Tambourine Man” (Dylan) [2:29] N. 1 Pop Singles, perché i Byrds dicano tutto ciò che avevano da dire. Il fatto che “Mr. Tambourine Man” sia di Dylan, che sia stata scritta proprio nel 1965, non ha alcuna importanza. Poteva essere qualsiasi altro brano folk. Del resto, la versione dei Byrds è, di fatto, un’altra canzone. Ed è il brano proto-rock americano più importante di sempre. La grazia, il magone, l’onirismo del brano sono paragonabili solo a “Sunday Morning” dei Velvet Underground. Per volere della casa discografica, nel singolo “Mr. Tambourine Man” il solo Byrds a suonare è il leader McGuinn e la sua Rickenbacker 12 corde; gli altri strumenti sono suonati da session men stagionati. Il brano segna anche il trionfo dei cosidetti jingle-jangle chitarristici, che saranno destinati a rimanere il marchio di fabbrica del gruppo.
L’idea è di un italiano, Alessandro Leonetti Luparini e per ora si tratta solo di un progetto su carta. Il T-box è una speciale turbina, da installare sulle traversine dei binari ferroviari, azionata dal passaggio dei treni. Secondo una stima al computer, un treno che viaggia a 200 km/h e che passa sopra un km di turbine può arrivare a produrre 2,6 kW di elettricità.
Luparini cerca 2 milioni di euro di finanziamento per passare dalla fase progettuale al primo prototipo.
(Fonte: Ansa Ambiente)
Berlusconi: “Per favorire il turismo, presto gli spot che mostrano i fondali di Lampedusa”.
Sono già pieni di gente.
Berlusconi su Ruby: “Le davo soldi per non farla prostituire”.
E poi se la portava a letto per non farle perdere la verginità.
Un dispositivo a base di nanotubi regolabili in grado di esaminare il sangue e rilevare l’eventuale presenza di cellule cancerogene circolanti – scoprendo in anticipo il processo di metastatizzazione – e di virus: il dispositivo e’ stato realizzato da un gruppo di ricercatori dell’Harvard Medical School e del MIT di Boston guidati da Mehmet Toner e Brian Wardle.
Il dispositivo, si legge sulla rivista Small, nasce da una versione precedente di 4 anni fa realizzata dallo stesso Toner, ma a differenza di allora i nanotubi sono molto piu’ porosi e lasciano al sangue la possibilita’ di circolare piu’ liberamente al loro interno. In questo modo lo strumento e’ capace di ”intrappolare” le cellule tumorali otto volte meglio della versione originale, e sembrerebbe essere in grado anche di rilevare particelle ”sospette” molto piu’ piccole delle cellule tumorali circolanti, come i virus, noti per essere di dimensioni molto ridotte (fino a 40 nanometri).
L’esame del PSA (antigene prostatico specifico) non puo’ essere utilizzato in maniera indiscriminata come strumento di screening del tumore della prostata, la piu’ frequente neoplasia maschile che ogni anno in Italia fa registrare circa 23.500 nuovi casi e 7000 decessi.
La sensibilita’ del test varia dal 70 all’80%, questo significa che il 20-30% delle neoplasie non viene individuato quando il PSA viene utilizzato come unico mezzo diagnostico. Va eseguito solo quando e’ necessario, cioe’ dopo i 50 anni, se vi e’ familiarita’ diretta per questo tumore e quando si soffre di disturbi urinari.
L’importanza di un uso ”mirato” del PSA viene sottolineata dalla XIX Conferenza Nazionale dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), dedicata ai tumori urologici , in corso fino a domani a Torino. Spiega Carmelo Iacono, presidente nazionale AIOM: ” Non vi sono evidenze scientifiche che stabiliscano l’opportunita’ di utilizzare lo screening in maniera diffusa sulla popolazione generale, tendenza che aumenterebbe il rischio di sovradiagnosi ed uno scarso vantaggio in termini di riduzione di mortalita’. E’ importante, anche per la sostenibilita’ del sistema, che venga operato un bilancio tra costi e benefici”.
Giovedì scorso, in sede Telecom Italia a Milano, è stato presentato il nuovo Tablet Olivetti: OliPad.
Questa prima versione di OliPad monta come sistema operativo Android Froyo, ed uno schermo 16:9 con risoluzione 1024×600.
Dal lato tecnico, notiamo la presenza di una porta USB direttamente sul dispositivo, e della possibilità di acquistare (separatamente) un dock dal prezzo di 20€ che permette di collegare OliPad direttamente ad una Televisione ad Alta Definizione, tramite la porta HDMI integrata nella Docking Station.
La presenza del Bluetooth permette anche di collegare una tastiera esterna ad OliPad, per poter scrivere con maggiore comodità.
A completare la dotazione, la presenza del modulo 3G, che garantisce connettività in mobilità anche in assenza di reti Wireless, ed il modulo GPS.
Il paragone più ovvio e spontaneo è con Apple iPad, anche se la fascia di prezzo di OliPad da questo punto di vista è molto concorrenziale, trattandosi solo di 399€ IVA Inclusa, ed anche se OliPad ha nativamente solo 16Gb di memoria interna, la possibilità di espanderla con schede MicroSD lo rende virtualmente più capiente del Tablet Apple.
…e allora compriamo italiano!
A un mese dal disastro di Fukushima il quadro dell’incidente nucleare ricorda vividamente la situazione post Cernobyl in Ucraina. A distanza di 25 anni, a distanza di migliaia di chilometri e in due contesti culturalmente e tecnologicamente quanto mai diversi, la situazione sanitaria e ambientale sembra essere proprio la stessa, come pure le modalità di intervento.
In Giappone, nonostante la tecnologia d’avanguardia e l’alto livello d’informazione del paese, troviamo stesse situazioni e stesse procedure. Il governo ha allertato solo la popolazione residente fino a 30 km dalla centrale, mentre le radiazioni sono arrivate fino a Tokyo (la capitale che conta oltre 13 milioni d’abitanti e che dista circa 240 km), contaminando in parte acqua e cibo. Anche a Fukushima la gestione del disastro è stata segnata da reticenze e disinformazioni, con una responsabilità diretta sia del Governo che della Tepco: la compagnia giapponese che controlla la centrale nucleare di Fukushima e che non solo non ha fornito informazioni chiare e dettagliate, ma ha anche cercato di minimizzare le conseguenze dell’incidente nei primi giorni, contraddicendosi poi più volte fino a esprimere in modo chiaro, nelle ultime settimane, la sua incapacità di controllo negli interventi.
Le previsioni sul futuro di Fukushima sono parecchio desolanti: a distanza di un quarto di secolo e in un contesto totalmente differente – dal punto di vista politico, sociale, culturale e soprattutto tecnologico – si ripete la stessa storia: il territorio gravemente contaminato, una dieta zeppa di radionuclidi, l’abbandono totale della ricerca e degli aiuti per le popolazioni vittime del disastro, una crescita esponenziale delle patologie legate alla contaminazione, che aumenteranno sempre più col passare dei decenni”.