Non starò ad annoiarvi con una elegia su chi è stato Solomon Burke, imponente di stazza e ancor di più di importanza nel mondo musicale, ultimo grande interprete di soul, o meglio di quel rock&soul di cui si incoronò re, primo insieme a Ray Charles a cimentarsi nell’unione della musica dell’anima con il country dei bianchi, un artista che ogni cultore di musica dovrebbe conoscere.
E se non è così, correte a procurarvi una delle raccolte che lo riguardano (“Home In Your Heart” la più consigliabile) per colmare questa grave lacuna.
Il Vescovo ha conosciuto nei tempi recenti una seconda giovinezza in modello Johnny Cash, magari non paragonabile a livello di critica e pubblico a quella dell’uomo in nero ma sicuramente ragguardevole.
Prima ha sbalordito con quel “Don’t Give Up On Me” che ha riscosso plausi in ogni dove (miglior disco del 2002 per Mojo) nel quale il titanico cantore, con brani scritti da Tom Waits, Van Morrison, Elvis Costello, Nick Lowe, Brian Wilson e Joe Henry, fornì una severa lezione a tanti sul significato vero di cantare con sentimento regalando emozioni (due canzoni a caso “Flesh & Blood” e “None Of Us Are Free”, per capire), proprio come il compianto Cash fece con i suoi American Recordings, poi con quel “Nashville” che confermava quanto i confini tra generi molto diversi siano solo paraventi che un vero artista sa abbattere.