l Fatto Quotidano pubblica a puntate il memoriale di Francesco Campanella, grande accusatore del presidente del Senato per i suoi rapporti con i boss di Villabate. “Una frequentazione di lunga data”, spiega il collaboratore di giustizia.
L’Espresso: “Schifani indagato per concorso esterno in associazione mafiosa”. La procura ha poi smentito tutto: nessuna iscrizione a carico del presidente del Senato. La situazione penale di Renato Schifani, dunque, attende ancora di essere precisata: quello che è pubblico e verificabile è il fascicolo in cui è citato. Ampi stralci della deposizione di Francesco Campanella sono oggi pubblicati dal Fatto Quotidiano, che si ripromette di continuare la loro pubblicazione. Nel memoriale in cui il pentito racconta i legami di Schifani con i boss, c’è la storia di un paese della Sicilia: Villabate.
CONTROLLO MAFIOSO – Francesco Campanella è un piccolo politico del centro siciliano: poi affiliato all’Udeur, diventa nel 1994 consigliere comunale del suo paese. E non fa mistero dei reali motivi per cui sedeva in consiglio comunale: era da considerarsi un agente del boss Nino Mandalà. “Nel 1994″, racconta Campanella, “la famiglia Mandalà controllava pertanto il mandamento mafioso di Villabate, così come l’amministrazione comunale attraverso il sindaco Navetta Giuseppe ed altri soggetti vicini tra cui l’assessore Lucio Geranio e, appunto, Campanella Francesco”. Punto nevralgico degli affari mafiosi, il municipio: è da li che partono infatti le direttive per la gestione e la modifica del piano regolatore comunale, indispensabile per offrire maglie larghe ai boss per accaparrarsi appalti e commesse pubbliche: “Mandalà Antonino”, racconta ancora il pentito, “iniziò a confidare al Campanella i suoi interessi mafiosi sul territorio e dell’importanza della gestione del Prg, che all’epoca era in itinere poiché, approvato nel 1993. I Mandalà, per loro stesso dire, miravano alla gestione del territorio attraverso l’utilizzo del Prg per gestire le zone edificabili e gli appalti pubblici e privati sul territorio di Villabate”.
Renato Schifani ed Enrico la Loggia, entrambi poi parlamentari con il PdL, uno dei due presidente del Senato, l’altro già ministro. “Per ottenere il proprio risultato Mandalà”, riporta il memoriale, “riferì a Campanella di voler interessare delle questioni urbanistiche il sen. Enrico La Loggia e l’avv. Renato Schifani, che affermò essere persone a lui molto vicine: a riprova di ciò affermò che erano conoscenti di lunga data, tanto da essere stati soci in affari e che entrambi avevano partecipato al proprio matrimonio”. Conoscenti di lunga data, soci in affari, invitati al matrimonio: questo sono Schifani e La Loggia per il boss mafioso. Questa situazione, a Campanella, sembra “realistica”: e il pentito si spinge oltre, nel dichiarare che Schifani ottenne effettivamente l’incarico di sovintendente comunale agli appalti per interessamento di Mandalà. “In una riunione intercorsa fra La Loggia, Mandalà e Schifani antecedente al novembre 1994 (nota al Campanella per essere stata riferita da Mandalà, e confermata dal sen. Schifani nella propria deposizione laddove riferisce che la proposta di incarico gli pervenne non dal sindaco Navetta ma da Mandalà Antonino su invito di La Loggia) fu concordato l’incarico di quest’ultimo, nella qualità di esperto, di controllo e coordinamento giuridico-amministrativo, urbanistico ed edilizio: il che avvenne con determina del 14 novembre 1994″, è il racconto della vicenda, e da quel momento in poi Schifani è operativo: secondo Campanella, a disposizione del boss per tutta una serie di favori e di varianti al PRG: “Le riunioni avvenivano nello studio legale dell’avv.Schifani”, continua il pentito.