Stop all’inno di Mameli, il disco è finito. Gli amministratori leghisti non dovranno più suonarlo durante le cerimonie ufficiali. La rottura definitiva con l’inno patrio, dopo molte discussioni ed episodi contrastanti, arriva per bocca di un’eminenza grigia del Carroccio, il segretario regionale della Liga Veneta Gian Paolo Gobbo, sindaco di Treviso e molto vicino a Umberto Bossi. “Da adesso in poi le cerimonie si faranno senza inni” ha tuonato Gobbo. Che aggiunge: “L’inno d’Italia non serve a niente, perché non è certo quello che contribuisce ad alimentare il senso dello Stato”.
I (tanti) sindaci e amministratori leghisti veneti sono avvertiti: “I miei dovranno seguirmi sulla mia strada” tuona il primo cittadino di Treviso. Nel pomeriggio arriva una parziale retromarcia da parte del sindaco di Verona Flavio Tosi che grida al complotto: “È in atto una clamorosa strumentalizzazione sull’uso dell’Inno di Mameli, pretesto e oggetto di polemiche sterili e poco significative” dice dopo aver parlato con l’amico Gobbo. E aggiunge: “A Verona, come a Treviso e nelle altre città venete è in vigore un preciso protocollo che regola l’uso dell’inno nazionale”. Tante le reazioni dell’opposizione: “Gobbo cerca di tenere alto il vessillo leghista a dispetto dei milioni di veneti che chiedono di rispettare la Costituzione” ha detto Davide Zoggia responsabile enti locali del Pd.
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