Cementificazione federalista in arrivo. Mercoledì è atteso il voto finale della Commissione bicamerale per l’attuazione del federalismo fiscale a proposito del decreto relativo ai beni demaniali.
Riguarda gli immensi terreni e le sorgenti di acque minerali e termali che fanno parte del patrimonio dello Stato. Prevede che questi beni passino a Comuni, Province, Città metropolitane, e che questi enti li gestiscano per “valorizzarli”.
Significa che potranno (ma in pratica dovranno) venderli, dopo avere eventualmente sottoposto i terreni a varianti urbanistiche per consentire che lì sopra vengano costruiti degli edifici. I palazzinari ringraziano.
Le conseguenze del primi vagito del federalismo fiscale sono sviscerate in un dossier dei Verdi, il cui presidente Bonelli, in un’intervista a Terra!, si dichiara stupito per “la totale disattenzione delle forze di opposizione, che in Parlamento non si sono rese conto delle conseguenze di questa norma”.
Non c’è neanche la speranza che gli enti locali, incamerati terreni eccetera dal demanio, se li tengano. In teoria, certo, possono farlo. In pratica non hanno un centesimo in cassa e tribolano per pagare le spese correnti.
Complessivamente i beni demaniali sono valutati in 51 miliardi di euro. Il dossier dei Verdi si concentra soprattutto sulle aree agricole (ma sarebbe interessante approfondire anche su acque minerali e termali) che ammontano a circa 1 milione di ettari.
Poniamo che solo il 4% di queste aree sia dichiarato edificabile, e che su di esse venga applicato l’indice di cubatura di 0,8. Un indice peraltro basso: significa che è possibile costruire 0,8 metri cubi di volume su ogni metro quadrato di terreno.
Ebbene, secondo i calcoli del Verdi in questo caso diciamo pure prudenziale sulle aree ex demaniali verrebbero costruiti edifici per 300 milioni di metri cubi.
Tanto per dare un’idea, si tratta di un volume corrispondente all’incirca a un milione – un milione! – di appartamenti medio-grandi, con una superficie di 100 metri quadrati l’uno.
Teatro di tutto questo fervore edilizio sarebbe un’Italia dove 750.000 ettari di terreno (un’estensione pari all’Umbria) sono stati inghiottiti da case, capannoni e affini fra il 1995 e il 2006. Dove ultimamente sono stati varati i piani casa regionali. E dove il 20% degli alloggi è vuoto ed inutilizzato.