Il rischio di un infarto non deve essere solamente ipotizzato dall’influenza dei diversi fattori di rischio cui vada incontro l’individuo nella sua vita, né soltanto da generici esami ematochimici o diagnostici in generale; oggi si può fare molto di più. Un semplicissimo esame del sangue infatti può palesare la possibilità che si vada incontro ad una cardiopatia acuta, persino fulminante, rappresentato, ad esempio, da un infarto o da una grave sofferenza ischemica. A sostenere tale nuova tesi una ricerca dell’Oregon Health & Science University, che ha indicato nel gamma-prime-fibrinogeno la ’spia’ più adeguata a segnalare il pericolo.
Quando, mediante tale esame, si dovessero riscontrare livelli alti di tale sostanza, che presiede ai processi di coagulazione del sangue, dovremmo allarmarci e correre ai ripari, visto che la possibilità di un grave infarto è lì, se possibile dietro l’angolo e tutto ciò anche in assenza di altri segnali che potrebbero predire l’insorgenza della cardiopatia, come ad esempio, l’alto livello nel sangue di colesterolo. A sostenerlo David Farrell, che ha coordinato la ricerca diffusa su Clinical Chemistry.
A tanto si è giunti studiando campioni si sangue con un lunghissimo lavoro scientifico durato più di cinquant’anni che hanno correlato al diabete, all’ipercolesterolemia, all’obesità anche gli alti livelli di gamma-prime-fibrinogeno, ma, come si è accennato prima, tali alti livelli possono persistere anche in assenza degli altri fattori di rischio, concludendo che il solo fatto di riscontrare livelli alti di tale sostanza è un gravissimo fattore di rischio in sé.
“Se si hanno livelli entro il 25 per cento piu’ alto il rischio aumenta di 7 volte”, ha concluso l’esperto, “questo test dovrebbe essere aggiunto agli altri per predire la probabilità di attacchi”
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